Archivi per la categoria ‘Arte’
Capo Horn
VOGLIO DOPPIARE CAPO HORN
Se il sottoscritto Carlo Bolmida, dentista torinese, marinaretto, cittadino Imperiese ad honorem, di stanza a Porto Maurizio sul suo Camon, ha doppiato Capo horn in barca, a vela ben inteso, allora possono farlo tutti gli appassionati, diportisti della domenica o poco più.
Basta un formidabile amore per il mare, l’avventura e un bel po’ di coraggio.
Da tempo ormai cullavo in un sogno, alimentato da mille letture di mare, questa “impresa”. Nel settembre 1983, appena tornato dalle mie piccole navigazioni estive, con la fantasia ho finalmente mollato gli ormeggi !
Per un’esperienza cosi’ intensa ed assoluta la cerchia di possibili compagni e’ molto ristretta, limitata a quelle poche amicizie di ” molte miglia e di lungo sorso “, rare da costruire anche nella esigua cerchia di appassionati.
Antonio va pazzo per il mare, ma…au large! Nini ha ben altro per la testa, lui che gli oceani li ha percorsi in longitudine e latitudine, Alberto viene a vela ma con una fifa nera, rimangono Luciano, che mai eviterebbe un avventura e Ezio, entusiasta marinaretto…a terra.
Ma comunque sono fortunato! dal 1982 conosco Nini Sanna , capitano vero e di lungo corso, con il quale ho conseguito una dura e “vera” patente di navigazione oltre le 20 miglia, sostenendo, alla Capitaneria di Porto Maurizio feroci esami sotto le forche caudine dell’ammiraglio Agostino Imperatore.
Con Nini ho condiviso lunghe ed entusiasmanti giornate di mare. Molte, le più eccitanti, invernali. E’ stato il mio Maestro.
Ma il Nini proprio non puo’ venire, però si da da fare per cercarci una sistemazione! Al primo accenno di questa possibile avventura sto gia’ navigando con Ezio e Luciano sulle ali del vento!
A quelle latitudini ci sono solo una decina di barche a noleggio disponibili per diversi itinerari : doppiare il Capo, andare in Antartide, visitare i ghiacciai della Patagonia, con navigazioni che variano da una settimana a 2 mesi.
Il tempo disponibile nel periodo di febbraio-marzo (la stagione migliore), barcamenandoci tra impegni di lavoro e famiglia, è di 15 giorni; il budget di circa 3 milioni a testa. Studiando le offerte delle varie imbarcazioni, l’attenzione di Sanna si concentra sul grande Alex Carozzo, che lui ben conosce, navigatore in solitario famosissimo, del quale io ho… soltanto tutti i libri, ( come del resto di tutti gli altri grandi, a cominciare da Joshua Slocum e Vito Dumas) e che ha posto qui una sua base.
E’ il costruttore e armatore del “Gindungo”, 17 mt. in acciaio , doppio scafo, armato a cutter, in quanto offre, a suo e mio parere, il miglior triplice rapporto sicurezza/qualita’/prezzo.
In primis: l’ha progettato lui: Carozzo! e poi c’e’ “Mono”, marinaio d’altri tempi, tanto burbero quanto bravo ed affidabile, depositario delle migliori tradizioni della marineria da diporto dei mari del sud (uno che non si spinge mai su a nord verso Buenos Aires perche’ secondo lui fa troppo caldo!) e, un’autentica leggenda in quei mari..
Essendo quasi sempre in navigazione, la trattativa per l’imbarco avvenne nei brevi suoi momenti a terra, e per questa ragione, si e’ protratta per 4 mesi !
La barca, tanto robusta che di piu’ non si puo’, disloca 26 tonnellate e oltre ad una grande ruota ha una barra di rispetto! ..una proboscide di elefante!
Monta a prua 2 avvolgifiocchi, uno sul bompresso, con rispettivamente yankee e fiocco, piu’ un terzo strallo con trinchetta ed un quarto strallo volante perche’… non si sa mai ! La randa e’ molto grande, con 3 mani di terzaroli, ed infatti non l’abbiamo mai issata per intero.
Per quelle latitudini, pur nella stagione buona, occorre comunque equipaggiarsi bene. io e Ezio, ogni mattina nell’ordine indossavamo : -calzettoni di pile sottostivali ( altri 3 di scorta ) -mutande e maglietta polo in cotone sulla pelle ( altri 4 di scorta e mutande a volonta’… ) -tuta termica in meraklon pesante ( altre 2 di scorta ) – maglione di lana ( altri due di scorta ) -stivali in gomma -una tuta intermedia in pile pesante tipo orsetto con rivestimento antistrappo composta da salopette e giacca (musto ) -una cerata invernale in goretex (musto hpx) -guanti da sci ( un altro di scorta ) -cappello ( altri due di scorta perche’ si perdono facilmente nel vento) -scaldacollo ( un altro di scorta ) pur essendo a latitudini estremamente basse ed il sole quasi sempre all’orizzonte, il buco nell’ozono li’ e’ una voragine, pertanto sono indispensabili occhiali da sole polarizzati e molto avvolgenti e creme solari ad alta protezione. Si sono anche rivelate risolutive le salviettine imbevute ( molte molte ) e lo iodosan per motivi che non sto a spiegare nei dettagli….!
Il tutto contenuto in una sacca di circa 35 kg che le “Aerolineas Argentinas”, bonta’ loro, ci avevano autorizzato come extra peso a differenza di tutte le altre compagnie aeree.
La navigazione da noi scelta, complessivamente di circa 300 miglia si svolge tra le isole dell’Arcipelago di Wollastone, con itinerari variabili scelti dallo skipper, in funzione delle condizioni metereologiche.
Decollati da Torino con scali a Roma e Buenos Aires atterriamo finalmente ad Ushuaia, mitica Ushuaia, la citta’ della fine del mondo, dove mi rendo piacevolmente conto che il fuso orario di 4 ore non mi da alcun fastidio.
E, finalmente, li’ veramente si sente il respiro del Capo!
Jorge Luis Borges e gli scacchi.
SCACCHI SOGNO E POESIA
di Carlo Giuseppe Bolmida
Il grande Jorge Luis Borges, come tutti gli intellettuali, amava gli scacchi. Purtroppo non basta essere uno dei più grandi Maitre a penser per essere anche un ottimo giocatore. Ho personalmente conosciuto un bidello che batteva regolarmente il vice provveditore agli studi, il professore , furente, tutta la notte si interrogava sugli abissi insondabili della psiche e del sapere.
Dice Borges sugli scacchi “Occupazione nobilissima, infinitamente superiore a tutti i giochi che io conosco; tuttavia io sono uno dei peggiori scacchisti che esistano.” Borges: Imàgenes.
Jorge Luis Borges, in uno dei suoi “ Ultimi Dialoghi “ (con Osvaldo Ferrari ) afferma: “ Sulla scacchiera ciascun pezzo crede di godere di libero arbitrio ed invece no, la mano del giocatore li spiazza ; anche il giocatore crede di godere di libero arbitrio, ma lui è diretto da un dio che, per ragioni letterarie, dipende a sua volta da altri dei. Si costituisce così tra i pezzi del gioco di scacchi una continuazione senza fine, una catena dalle maglie infinite. Io ho scritto su questo tema due sonetti intitolati “ Scacchi “ ; sì, in tutti e due, il tema è il medesimo: i pezzi si credono liberi e non lo sono, dio si crede libero e non lo è, l’altro dio lo crede e non lo è, e così di seguito, infinitamente.”
Di questi tempi sarebbe buona cosa avvicinarsi un pò alla poesia e meno alla cure di come incrementare il conto in banca.
Intanto è grigia per tutti.. ma, chissà perchè, si respira molto meglio.
Gli scacchi. (1)
Al tavolo pazienti i giocatori
spingono lenti i pezzi. Bianco e Nero
avvinti li terranno in quel severo
ambito ove si odiano i due colori.
Là dentro irradian magici rigori
le fugure: Torre d’Omero, leggero
Cavallo, armata Regina, Re altero,
obliquo Alfiere e pedoni incursori.
E quando i giocatori se ne andranno
quando tutto il tempo passeranno
certamente non sarà cessato il rito
che in Oriente accese questa guerra
che ora infiamma tutta la Terra:
come l’altro, questo gioco è infinito…
Gli scacchi (2)
Pacato Re, sbieco Alfiere, agognata
Donna, diritta Torre, pedone latino,
sopra il Bianco e Nero del cammino
cercano e trovano una battaglia armata.
Non sanno che la mano fatata
del giocator governa il lor destino.
Non sanno che un rigore adamantino
regola l’alba e l’intera giornata.
Il giocatore è prigioniero pure
(come disse Kayyam) d’altra scacchiera
di chiari giorni e scure notti.
Dio muove il giocator, lui le figure…
C’è un Dio dietro quel Dio, che impera
su polvere e Tempo e sogni rotti?
(trad. di Sebastiano Paulesu)
L’ uomo è pedina di un gioco le cui regole e le cui mosse non dipendono da lui: in queste allegorie scacchistiche vi è una scoperta negazione del libero arbitrio.
Tra i precedenti di questa fantasia idealistica e panteistica va ricordata quella di Miguel de Unamuno : “ La vita è sogno”.
Sarà forse un sogno, Dio mio, anche questo tuo Universo di cui sei la coscienza eterna e infinita? Sarà un sogno tuo? Sarà che ci stai sognando? Saremo un sogno, un sogno tuo, noi sognatori della vita? “ ( Vita di Don Chisciotte e Sancio, parte II, cap. LXXIV ).
Il grande scrittore e filosofo Miguel de Unamuno pubblicò, nel 1912, il suo libro più celebre, Il sentimento tragico della vita. Le sue stesse sofferenze può essere che l’abbiano indotto a pensare che la filosofia serve all’uomo solo quand’essa dà una mano alla poesia e non alla scienza.
Egli si esercitò tutta la vita, con più sofferenza che gloria, al gioco degli scacchi. Scrisse ne Il romanzo di don Sandolio :
“ Egli gioca come uno che celebri una cerimonia religiosa. O piuttosto no, meglio ancora, come chi crei una silenziosa musica religiosa. Il suo gioco è musicale. Egli afferra i pezzi come se pizzicasse un’arpa. E, allo stesso modo, m’immagino il suo cavallo, non nitrire, questo giammai! ma respirare musicalmente, allorchè si apprestasse a dar scacco al suo avversario. E’ come un cavallo alato. Un Pegaso. O ancor meglio una chiave di pianoforte di legno, come questa. E non si posa sulla scacchiera! Non salta: vola. E quando gioca la regina? Pura musica! “
Ma, parallelamente, Unamuno fu un accanito detrattore dei giocatori di scacchi. Come traspare chiaramente da questo passo: “ Egli mi battè, non perchè giochi meglio di me, ma perchè non fece che applicarsi al gioco mentre io mi distraevo, mentre io lo osservavo… Non è un uomo intelligente… ma applica ogni più riposta risorsa nel gioco. “
Sono parole che sono altrettante confessioni. Confessioni di impotenza scacchistica. Quante volte ho sentito raccontare questa triste fiaba da scacchisti frustrati , alla ricerca di alibi, ( di anestetico, disse Primo Levi ) : “Ho perso, ma io ho troppe altre cose per la testa, impegni professionali, la famiglia,.. se si considerasse il talento puro, l’intelligenza.. sarei perlomeno I Nazionale. mi distraggo, ho troppa fantasia,..e poi a me il risultato non interessa, mi interessa il bel gioco, io gioco a zona, solo che ho lasciato la donna in presa.. e poi stavo meglio egualmente, ma per un fattore così trascurabile come il Tempo..ha vinto il peggiore “.
Un pò di autocritica? Giammai, ohibò, con il loro cervello?
Certo, possono consolarsi, ci credeva anche Miguel de Unamuno! ( Borges no)
Ma lui era, infine, Miguel de Unamuno.
La scacchiera come palcoscenico.
La multidisciplinarietà a scuola del gioco degli scacchi non è ormai mistero per nessuno: grazie agli scacchi si può parlare di storia, di geografia, di matematica e geometria, di sport, di educazione civica, ma anche artistica, poetica e musicale…
Così quando la maestra Daniela Demurtas, della 2^ B della scuola primaria di Sorso, mi ha chiesto se era possibile fare a fine anno una rappresentazione scenica su scacchiera gigante in piazza coi bambini coinvolti nei laboratori di scacchi non mi sono certo tirato indietro: ho subito proposto una sorta di partita vivente!
Poi però, recuperando mentalmente tutte le esperienze precedenti di partite viventi, mi è venuta un’idea per far sì che l’esibizione possa essere godibile anche per chi non conosce gli scacchi (cioé il 90% del pubblico!). Ho pensato innanzi tutto ad una presentazione in rima recitata dai bambini (ognuno entra sulla scacchiera e si presenta: “Salve! Io sono la Torre!” “Muove la Torre in orizzontale e in verticale” dice il bambino accompagnando con una camminata plateale e sbattendo rumorosamente i piedi sul pavimento , percorre una traversa e poi una colonna e giunto ad un angolo esclama “Ma non muove in diagonale” e nel tentativo casca sdraiandosi sulla diagonale). Ogni bambino interpreta un pezzo e recita le sue peculiarità di movimento, così il pubblico viene contemporaneamente informato sui loro ruoli e può seguire meglio le scenette che realizzeranno (per lo più i miei proverbi scacchistici o qualche filastrocca). Infatti uno dei problemi delle partite viventi è che il pubblico possa non capire il senso della partita, e anche che qualche bambino costretto a fare scena muta possa stancarsi o peggio annoiarsi. Lo scorso anno la cara amica Carmelita Di Mauro, che proviene appunto da moltissime esperienze teatrali, aveva messo in scena al palazzetto sportivo di Gela proprio alcune scenette con un gruppo di ballo in costume (per lo più tutte sue ex allieve!). Il risultato è stato eccezionale e spero in futuro di mostrarvene un video!
Martedì scorso abbiamo fatto delle prove ed i bambini si sono molto divertiti, e quel che più conta, sono stati “attori” principali anche nel trovare i gesti stereotipati che dovranno mettere in scena durante la rappresentazione! Al termine delle prove (poco più di venti minuti) siamo tornati in classe a giocare a scacchi e infine ho distribuito ad ognuno di loro una carta con un proverbio per farli ispirare!