Scacchi scolastici: una risorsa multidisciplinare.
Gli scacchi a scuola.
La recente notizia che il Parlamento europeo auspica che gli scacchi diventino materia scolastica complementare sta aprendo un certo dibattito, tra entusiasti e scettici, sia nel mondo degli scacchisti che in quello della Scuola. Volendo stimolare le considerazioni degli uni e degli altri mi piace proporre qui alcuni ragionamenti.
Lo faccio con una carrellata tratta dalla mia quotidiana attività di istruttore presso le scuole, ripercorrendo una settimana tipo e mostrando quanto possano essere utili gli scacchi intesi come risorsa didattica integrata con i curricula scolastici.
Aspetto ludico e di aggregazione.
Tutti i lunedì faccio lezione alle quarte della scuola primaria di via Washington, dell’Ottavo circolo didattico “Galileo Galilei”. Le maestre per ottimizzare il tempo a disposizione hanno preso la decisione di unire le due quarte in un unico gruppo (per un totale di 35 bambini!) e consentire anche ad una terza di poter usufruire di un’ora di scacchi.
Durante le lezioni oltre al piacere delle partite in sè c’è anche quello di confrontarsi con bambini che solitamente non fanne parte della propria cerchia.
Questo è sempre auspicabile quando si fanno scacchi in diverse classi della stessa scuola (o anche di plessi diversi) farli incontrare in qualche torneo scolastico.
Capacità di attenzione e memoria.
Gli scacchi possono essere la vera palestra della mente, soprattutto per le facoltà di attenzione e memoria. La mia attività presso le scuole dell’infanzia di Ossi, e di via Manzoni, è soprattutto focalizzata su questi due aspetti (oltre ad un percorso mirato sugli schemi corporei, con riflessi anche sulle attività di ragionamento). Martedì ho incontrato due classi di prima elementare della scuola di Latte dolce, con le quali abbiamo fatto dei giochi di problem solving. Ho prima disegnato sulla lavagna bianca tutti i movimenti dei pezzi (utile come ripasso, essendo solo alla terza lezione) e dopo le partite ho tolto i pezzi e ho chiesto ai bambini di indovinare il posto corrispondente di ognuno.
Capacità di verbalizzazione.
Un aspetto poco considerato dagli istruttori di scacchi è la grande potenzialità per la verbalizzazione dei bambini delle scuole primarie. Personalmente, grazie al metodo ideografico, ho scoperto la grande volontà di partecipazione dei bambini soprattutto nel raccontare le mosse sulla scacchiera. Così mi soffermo molto sulla loro descrizione delle mosse, che gli chiedo di sforzarsi per esprimermele a parole in modo che tutti possano capire senza fraintendimenti.
Così martedì a Sorso, nella seconda elementare della maestra Daniela, abbiamo giocato molto sui proverbi (che saranno messi in scena nella manifestazione di fine anno).Mercoledì durante una lezione presso la quinta dell’istituto comprensivo di Osilo due bambini si sono volontariamente messi a trascrivere dalla mia agenda alcune pagine di proverbi scacchistici inediti. Venerdì con la prime elementari delle maestre Renata Conti, Emanuela De Giovanni e Stefania Arru abbiamo fatto un gioco (utile per il ripasso ma anche per esercizio di verbalizzazione) in cui i bambini dovevano individuare delle possibili catture e descriverle a voce.
Fantasia e creatività.
Sempre i bambini della seconda elementare di Sorso hanno la settimana scorsa realizzato ciascuno un disegno di scacchi. Ma da sempre, senza particolari richieste da parte mia, i bambini mi regalano dei disegni a tema scacchistico.
La storia degli scacchi.
Martedì al Convitto del Canopoleno ho fatto per venti minuti una lezione tutta sulla storia degli scacchi, dalla leggenda di Sissa, sino alle successive evoluzioni che hanno portato alle regole attuali. I bambini erano molto interessati e facevano continue domande. “Perché il pedone si chiama pedone?” “Come muoveva il Cavallo?”, “Perché la Regina è più forte del Re?”. La cosa curiosa è che questa lezione è stata improvvisata perché i bambini erano troppo rumorosi e allora in tono di rimproverò ho esclamato: “Bene, adesso incomincio a farvi una lezione di storia e sino a che non state zitti non giocate a scacchi”.
Alla fine erano in molti a voler sentire ancora la storia degli scacchi piuttosto che a voler giocare…
La competizione sportiva.
Giovedì ho accompagnato i bambini della seconda primaria (con un’unica eccezione per Aisha, di quarta) ai Campionati giovanili studenteschi (di cui scriverò presto) ad Arborea. Ogni anno ho fatto partecipare i bambini, oltre che ai tornei scolastici, anche alle competizioni ufficiali della Federazione Scacchistica Italiana, dando una grande occasione di crescita anche emotiva e caratteriale (oltre che motivazionale) ai miei allievi. Ma recentemente mi sono ricreduto sulla validità a 360 gradi dell’aspetto sportivo, dove – non c’è niente da fare – l’agonismo alla fine spunta sempre. Così sono sempre più persuaso di separare l’aspetto sportivo da quello formativo e concentrarmi soprattutto su quest’ultimo. Infatti l’aspetto sportivo è quasi sempre escludente: per prima cosa bisogna deludere molti bambini che non saranno selezionati per giocare, poi bisogna prepararli a gestire la frustrazione della sconfitta (non tutti potranno essere primi), della paura di deludere i “grandi”, della disciplina della condotta di gara…
Insomma, sono del parere che questo debba essere più un compito dei circoli scacchistici piuttosto che di un contesto scolastico.
Capacità di astrazione e di calcolo.
In tutte le classi è abbastanza comune che i bambini che giocano mi chiamino per rendermi partecipe dei loro calcoli del materiale catturato. Spesso nelle mie lezioni utilizzo dei momenti didattici (come quello della bilancia) per abituarli alle operazioni. Come già scritto altre volte i bambini che non è possibile abbinare per la mancanza delle scacchiere o perché sono “dispari” li impegno a fare conteggi del materiale catturato: dalla più semplice somma aritmetica, alle moltiplicazioni (4 pezzi minori sono 4×3), sino alle differenze (confrontare a mente, cioé senza poterli toccare, tutti i pezzi catturati dal Bianco e dal Nero). Non di rado ragioniamo con loro di quali siano le strategie migliori per calcolare. Nelle classi di bambini di 6 e 7 anni cerco di “ingannarli” facendogli ricontare gli stessi pezzi spostandoli solo di posizione sul tavolo. Già in terza è molto difficile che qualcuno ci caschi e alla seconda richiesta mi guarda come se fossi matto!
Bel contributo (debitamente archiviato nei miei materiali per i corsi agli insegnanti).
Ma perché il pedone si chiama così?
Grazie Stefano!
Il pedone si chiama così perchè è il soldato più umile dell’esercito, così povero da non potersi permettere neppure una armatura… Possedeva solo uno scudo e una spada (o una lancia) e procedeva a piedi (da ciò il il nome di pedoni) davanti ai cavalieri e agli altri reparti pesanti dell’esercito!
Naturalmente la lezione di storia l’ho condita con i relativi termini in sanscrito, in persiano, in arabo e spagnolo!
😀
ciao Sebastiano
a proposito dell’aspetto sportivo del gioco degli scacchi, che tu preferisci porre in secondo piano visti i risvolti negativi derivanti dalle frustrazioni per le sconfitte, comprendo bene quello che dici e sono anche d’accordo sul privilegiare il profilo ludico e didattico nei primi anni. Però sappiamo bene quanto sia formativo per un bambino imparare a gestire la sconfitta sviluppando la necessaria dose di autocritica. Non è facile, ci vuole gradualità, però io me lo pongo come un vero e proprio obiettivo didattico e ho deciso di far giocare ai bambini al primo anno esclusivamente in tornei a squadre, dove ho notato che è molto più facile stemperare la tensione “agonistica” in una dimensione che non è più individuale ma di gruppo. I problemi che ho avuto con bambini estremamente sensibili, ad esempio anche nei tornei di Natale con premi per tutti, li ho evitati facendoli giocare ai tornei scolastici UISP oppure organizzando “sfide” tra scuole, sempre in un clima di amicizia.